Una bellissima e profonda meditazione di Miten Veniero Galvagni con un augurio di serenità.
Meditazione Metta
La pratica quotidiana proposta da Miten
L’audio è al seguente link:
Che io possa essere libera/o da inimicizia.
Che io possa essere libera/o dall’ansia, dalla paura,
dal rancore, dall’odio,
dalla tristezza, dalla sfiducia, dall’invidia, dalla gelosia,
dalle bramosie, dagli attaccamenti, dalla vanità,
dal bisogno di piacere agli altri, dal bisogno di sentirmi, e di apparire,
particolarmente speciale.
Ma, soprattutto, che io sia libera/o dal giudizio, dalla condanna
nei confronti di me stessa/o.
Che io sia libera/o dal senso di colpa
per potermi finalmente assumere
la sola responsabilità che mi compete:
l’essere veramente, totalmente, serenamente me stessa/o
senza alcuna condizione limitante. Solo così potrò essere veramente, totalmente, serenamente
amica/o, benevolente,
gentile con tutti gli altri esseri umani e non umani.
Sono unica/o e irripetibile così come sono
nel profondo del mio cuore
dove dimora la luce infinita dell’amore senza condizioni.
Sono unica/o e irripetibile così come sono
anche nel mio corpo, nelle mie emozioni,
nei miei pensieri, nei miei comportamenti,
nel mio modo di rapportarmi agli altri,
nel mio modo di vivere la vita,
nel mio modo di vivere la morte. Certo, cambiare per me è sempre possibile
se sento che per me è benefico cambiare
qualcosa che può essere cambiato. Tutto ciò che si è formato
può essere trasformato.
Ciò che resta immutabile è solo
la mia natura di luce.
Che io possa desiderare di cambiare in una benefica direzione
ciò che può essere cambiato, poiché, così com’è,
è fonte di sofferenza per me e per altri.
Che io abbia la forza
di chiedere aiuto a qualcuno
se da sola/o avverto di non farcela. Ma prima di desiderare un cambiamento,
prima di decidere di cambiare qualcosa di me che avverto come nocivo,
che io possa accettare
di essere come sono.
Se oggi sono così,
non potevo creare le premesse
per essere diversa/o
da come, di fatto, oggi sono.
Sono ciò che sono.
Possa io non vergognarmene
o vantarmene, mai.
Come posso condannarmi
per ciò che ho fatto?
Ho fatto ciò che potevo fare,
dato il mio livello di consapevolezza, e date le circostanze, a volte misteriose,
che ricamano i contorni della mia esistenza.
Ciò che ho fatto,
e che oggi mi sembra un errore,
una colpa, un fallimento, uno sgarro tirato a me stessa/o o ad altri,
forse è stato ciò che era bene che io facessi
per l’evoluzione psicologica e spirituale
sia mia che di altri.
Che io sia libera/o da inimicizia nei confronti di me stessa/o. Che io sia amica/o, benevola/o, gentile con me stessa/o.
Solo così potrò essere libera/o da inimicizia
nei confronti degli altri e del mondo intero.
Solo così potrò sentire benevolenza nei confronti di chiunque,
persino di chi ho già ferito in vario modo,
o di cui ho parlato, forse anche con estranei,
nell’ostilità, nel lamento o nella recriminazione.
Ho spesso pensato a loro
con odio, rancore, invidia, gelosia, fastidio,
e li ho demonizzati o calunniati, oppure ho fatto di tutto per dimenticarli,
per rafforzarmi nell’idea
che, in fondo, avevo ragione io, che la ferita da me inferta
era un mio diritto,
per non sentirmi più in colpa,
o per cancellare, senza riuscirci del tutto,
qualcosa che di fatto è rimasto in sospeso
e che può trovare una sua serena stabilità
solo nella benevolenza.
Possa io provare benevolenza
nei confronti di chi mi ha ferita/o in vario modo.
Chi mi ha ferita/o l’ha fatto perché, in quel momento,
non poteva fare diversamente
o perché, semplicemente, io stessa/o avevo bisogno di quella ferita.
Non si tratta di perdonare,
ma di essere consapevoli.
Chi sono io
per arrogarmi il diritto del perdono, quando nemmeno so
chi esattamente, o cosa,
ci sarebbe poi da perdonare,
se non proiezioni della mia mente? La mia mente, magari,
scorge un crimine, un’ingiustizia, proprio dove, proprio quando, guardando con occhi più attenti e saggi,
appare una benedizione, per me e per altri,
travestita da disgrazia,
nascosta dietro un dolore, un’apparentemente inutile sofferenza.
Semplicemente, spesso,
si tratta solo di una prova,
di una prova difficile da superare, per me e per altri.
Una prova che può essere superata e che, una volta superata,
mi ripagherà, ci ripagherà,
con la serenità di una più matura comprensione.
Che io possa essere libera/o dalla superbia
che mi sollecita a cogliere solo il dolore
per la ferita che mi è stata inferta. Che io possa essere libera/o dall’ostilità
nei confronti di me stessa/o
che mi sollecita a cogliere solo il dolore
per la ferita che ho inferto.
Che io divenga consapevole
che ogni tipo di ferita
non viene inferta per caso,
al di fuori di un benevolo disegno. Una ferita, inferta o ricevuta,
può incoraggiarci tutti
a non ferire più nessuno.
Che io possa dimorare nella benevolenza,
nell’amicizia, nella gentile attenzione
nei confronti di me stessa/o
e di qualunque altro essere
o manifestazione
in questo mondo e nei mondi vicini.
Che io possa essere in pace, libera/o da inimicizia.
E ora pensate a una persona a cui volete particolarmente bene e che sapete essere in un momento di difficoltà, attraversata e afflitta da emozioni dolorose. Oppure pensate a una persona con la quale avete problemi di relazione. Visualizzatela di fronte a voi e dite così:
Che tu possa essere libera/o da inimicizia.
Che tu possa essere libera/o dall’ansia, dalla paura,
dal rancore, dall’odio,
dalla tristezza, dalla sfiducia, dall’invidia, dalla gelosia,
dalle bramosie, dagli attaccamenti, dalla vanità,
dal bisogno di piacere agli altri,
dal bisogno di sentirti, e di apparire, particolarmente speciale.
Ma, soprattutto, che tu sia libera/o dal giudizio, dalla condanna
nei confronti di te stessa/o.
Che tu sia libera/o dal senso di colpa
per poterti finalmente assumere
la sola responsabilità che ti compete:
l’essere veramente, totalmente, serenamente te stessa/o
senza alcuna condizione limitante. Solo così potrai essere veramente, totalmente, serenamente
amica/o, benevolente,
gentile con tutti gli altri esseri umani e non umani.
Sei unica/o e irripetibile così come sei
nel profondo del tuo cuore
dove dimora la luce infinita dell’amore senza condizioni.
Sei unica/o e irripetibile così come sei
anche nel tuo corpo, nelle tue emozioni,
nei tuoi pensieri, nei tuoi comportamenti,
nel tuo modo di rapportarti agli altri,
nel tuo modo di vivere la vita, nel tuo modo di vivere la morte. Certo, cambiare per te è sempre possibile
se senti che per te è benefico cambiare
qualcosa che può essere cambiato. Tutto ciò che si è formato
può essere trasformato.
Ciò che resta immutabile è solo
la tua natura di luce.
Che tu possa desiderare di cambiare in una benefica direzione
ciò che può essere cambiato, poiché, così com’è,
è fonte di sofferenza per te e per altri.
Che tu abbia la forza
di chiedere aiuto a qualcuno
se da sola/o avverti di non farcela. Ma prima di desiderare un cambiamento,
prima di decidere di cambiare qualcosa di te che avverti come nocivo,
che tu possa accettare
di essere come sei.
Se oggi sei così,
non potevi creare le premesse
per essere diversa/o
da come, di fatto, oggi sei.
Sei ciò che sei.
Possa tu non vergognartene
o vantartene, mai.
Come puoi condannarti
per ciò che hai fatto?
Hai fatto ciò che potevi fare,
dato il tuo livello di consapevolezza, e date le circostanze, a volte misteriose,
che ricamano i contorni della tua esistenza.
Ciò che hai fatto,
e che oggi ti sembra un errore,
una colpa, un fallimento, uno sgarro tirato a te stessa/o o ad altri,
forse è stato ciò che era bene che tu facessi
per l’evoluzione psicologica e spirituale
sia tua che di altri.
Che tu sia libera,/o da inimicizia nei confronti di te stessa/o.
Che tu sia amica/o, benevola/o, gentile con te stessa/o.
Solo così potrai essere libera,/o da inimicizia
nei confronti degli altri e del mondo intero.
Solo così potrai sentire benevolenza nei confronti di chiunque,
persino di chi hai già ferito in vario modo,
o di cui hai parlato, forse anche con estranei,
nell’ostilità, nel lamento o nella recriminazione.
Hai spesso pensato a loro
con odio, rancore, invidia, gelosia, fastidio,
e li hai demonizzati, o calunniati, oppure hai fatto di tutto per dimenticarli,
per rafforzarti nell’idea
che, in fondo, avevi ragione tu,
che la ferita da te inferta
era un tuo diritto,
per non sentirti più in colpa,
o per cancellare, senza riuscirci del tutto,
qualcosa che di fatto è rimasto in sospeso
e che può trovare una sua serena stabilità
solo nella benevolenza.
Possa tu provare benevolenza
nei confronti di chi ti ha ferita/o
in vario modo.
Chi ti ha ferita/o l’ha fatto perché, in quel momento,
non poteva fare diversamente
o perché, semplicemente, tu stessa/o avevi bisogno di quella ferita.
Non si tratta di perdonare,
ma di essere consapevoli.
Chi sei tu
per arrogarti il diritto del perdono, quando nemmeno sai
chi esattamente, o cosa,
ci sarebbe poi da perdonare,
se non proiezioni della tua mente? La tua mente, magari,
scorge un crimine, un’ingiustizia, proprio dove, proprio quando, guardando con occhi più attenti e saggi,
appare una benedizione, per te e per altri,
travestita da disgrazia,
nascosta dietro un dolore, un’apparentemente inutile sofferenza.
Semplicemente, spesso,
si tratta solo di una prova,
di una prova difficile da superare, per te e per altri.
Una prova che può essere superata e che, una volta superata,
ti ripagherà, ci ripagherà,
con la serenità
di una più matura comprensione. Che tu possa essere libera/o dalla superbia
che ti sollecita a cogliere solo il dolore
per la ferita che ti è stata inferta. Che tu possa essere libera/o dall’ostilità
nei confronti di te stessa/o
che ti sollecita a cogliere solo il dolore
per la ferita che hai inferto.
Che tu divenga consapevole
che ogni tipo di ferita
non viene inferta per caso,
al di fuori di un benevolo disegno. Una ferita, inferta o ricevuta,
può incoraggiarci tutti
a non ferire più nessuno.
Che tu possa dimorare nella benevolenza,
nell’amicizia, nella gentile attenzione
nei confronti di te stessa/o
e di qualunque altro essere
o manifestazione
in questo mondo e nei mondi vicini. Che tu possa essere in pace, libera/o da inimicizia.
Reggio Emilia, 20 novembre 2003
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